Chi fu Felix Vallotton?
Questo poliedrico personaggio, nato in Svizzera nel 1865 e morto a Parigi nel 1925, visse in modo tormentato la propria arte e la Vita. Fu pittore, incisore, illustratore simbolista. Molto apprezzato e richiesto dai collezionisti per le sue numerose nature morte, e ritratti che anticipavano il surrealismo, fu ritenuto una figura di spicco tra i nabis, allievi e continuatori di Paul Gauguin.
Ma pochi sanno che Felix Vallotton scrisse anche un libro.Uno solo.
E non un libro qualsiasi.
Scrisse La Vita Assassina.
Jacques Verdier, il protagonista di questo romanzo, è un antieroe del male. Dopo un secolo di figure luciferine, che cercavano testardamente il male, Vallotton ha creato un personaggio che è accompagnato dal male come da un’ombra, o un aroma, ma certamente non lo vuole. Anzi, Verdier in generale vuole poco. È un giovane di provincia calato a Parigi, che si scopre quasi per caso una vocazione di storico dell’arte. La sua esistenza si svolge su scenari prevedibili della metropoli, fra bordelli, salotti, caffè e redazioni. Ma Verdier sa di celare un grave segreto: il male è suo ospite perenne, e dalle sue mani si trasmette alle più varie creature che gli vengono incontro. Un’ironia sinistra avvolge tutte le sue vicende, avvicinando amore e assassinio sino a farli diventare dei «quasi sinonimi». Si direbbe che in Verdier il volto assassino della natura si sia scelto un rappresentante, e si compiaccia beffardamente del suo aspetto poco vistoso e innocuo. Ma è davvero innocente Verdier? Quanto più lo proclama, tanto più insospettisce. E esiste davvero Verdier? Vista dall’esterno, la sua storia è quella di un giovane e promettente studioso d’arte. Vista dall’interno, è una vita che obbedisce a un «codice di carneficina e di sangue», mentre un «cappio di fatalità» lentamente la strozza. Ma, e questo è il paradosso del romanzo, che Vallotton fa giocare magistralmente, la vita nefasta di Verdier non è percepibile da nessuno salvo da Verdier stesso e dal lettore che ascolta le sue confessioni. E questo crea un divario fra esterno e interno che conferisce al racconto una vibrazione di cupa ilarità. Come nella sua opera di pittore, Vallotton mostra in questo romanzo di essere attratto dall’oltraggioso e dall’urtante. E applica d’istinto quella esautorazione del soggetto che rivendicavano i cavalieri della décadence, da Nietzsche a Rémy de Gourmont. Così si precisa davanti ai nostri occhi, con lo stesso tratto che ci era noto dai disegni di Vallotton, il profilo di una storia sottilmente ossessiva: la cronaca di un «insabbiamento in un orrore molle». La vita assassina, scritto nel 1907-1908, fu pubblicato, postumo, nel 1930.
Vallotton fu uno scrittore singolare e affascinante nella sua quasi violenta lucidità. Libro grottesco e amaro, ma che delinea bene un periodo di decadenza storica, di malcontento generale, che Baudelaire seppe interpretare nelle sue poesie.