ELVIRA, la modella di Modigliani
di Carlo Valentini
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Occhi profondi come il carbone, ma accesi da dorate scintille, fianchi svelti e un passato randagio da dimenticare, sono solo alcune delle caratteristiche che costituiscono il fascino ferino di Elvira, mezza Marsigliese e mezza spagnola, arrivata a Parigi per sfuggire ad una squallida esistenza di violenze, miserie e sfruttamento. Si ritroverà nel turbine dell’arte, vivendo di musica e d’amore prima a Montmartre e poi a Montparnasse, nei due leggendari quartieri artistici della capitale. Amica, amante e Musa, aveva conosciuto quell’italiano ebreo squattrinato, ma attento all’eleganza, nel vivace circolo di artisti e poeti che animava la Butte Montmarte, a due passi da una serie di caffé che resteranno nel mito, come il “Lapin Agile”. Trascinandosi di tavolo in tavolo, cantando per guadagnarsi quel poco di cui vivere un’esistenza di sogni, impastata con i gialli bestiali dei quadri di Amedeo, sempre pronto a ritrarla disinibita, solare e bestiale, prima di amarla in maniera altrettanto spudorata anche sulla tela.
“L’arte è qualcosa di impalpabile”, ripeteva a Elvira, incurante se lei lo capisse o meno, “è la differenza di colori, di tratti che creano la verità…Quella stessa non esiste ma è dentro ognuno di noi e ci rende uguali e diversi. L’arte è il genio di chi non ha paura di andare al di là, di chi non teme d’ammettere che tutti noi siamo possessori di una verità, che è per noi tangibile, reale, appunto soggettiva”.E anche la Belle Époque finì, portandosi dietro la sua barca di illusioni, la guerra non mancò di abbattersi come un flagello, sulla spensieratezza amara degli abitanti de La Rouche, mentre Amedeo, ancora strenuamente restio ad affidarsi alle maree delle correnti artistiche, al quale peraltro lo invitavano ad aderire sia i futuristi che il cubista Picasso, ritrovava finalmente, dopo un lungo pellegrinaggio di conquiste amorose ed ispirazioni, tra le quali una conturbante poetessa russa di nome Anna, e l’idolo delle folle Kiki, andava incontro al crepuscolo, amando la vellutata Jeanne, che lo renderà padre per poi seguirlo fino alla fine, così come Elvira, minata dagli eccessi, ma ancora presente in un ultimo commosso abbraccio.
Elvira non aveva da offrirgli che il suo disordine, il suo anticonformismo, la sua voglia di vivere e i suoi vizi, il suo corpo ancora fascinoso, magro, sensuale, gentile e spudorato allo stesso tempo, pronto ad assumere pose conturbanti, le gambe sinuose che facevano impazzire gli uomini di Montparnasse.
E sembra di vederli ancora quei lampioni a petrolio oscurati per colpa della guerra, proiettare luci scarne e spettrali sui selciati di Montparnasse e il lungo corteo funebre gonfio d’amici, di conoscenti e di gente che anche solo per un attimo l’aveva sfiorata l’esistenza fulgida e distruttiva di Modigliani, pittore della bellezza femminile che non aveva mai potuto rassegnarsi ai paesaggi.
*“Elvira la modella di Modigliani”
di Carlo Valentini
GRAUS Edt.
collana Personaggi