sabato 21 settembre 2013

Recensioni di metà Settembre...





Mani sporche
Matvejević è riuscito a narrare la storia dell’uomo attraverso il modo in cui quest’uomo ha fatto il pane nel tempo. Dopo una ricerca minuziosa durata vent’anni, ha messo in moto anche lui le proprie mani scrivendo Pane nostro, dove capiamo che quel cibo tanto quotidiano ha avuto significati e modi d’esser consumato importanti e che ci condizionano ancora oggi. Nicolai Lilin, invece, su di sé porta scritta la propria di storia, non quella dell’intera umanità. La propria, e di una tradizione antica a cui è appartenuto nascendo in una terra in cui diventare criminale o no non era una scelta. I criminali siberiani di cui ha fatto parte, e di cui parla in Storie sulla pelle, sono soliti usare le mani per uccidere ma anche per tatuare i loro compagni, e “chi tatua è una sorta di sacerdote e psicanalista che accoglie le confidenze di chi ha di fronte”. Oggi Lilin guarda il proprio corpo e legge ciò che è stato e ha fatto.

Nei Fantasmi del cappellaio di Simenon, di artigiani ce ne sono due: un cappellaio e un sarto. “Erano solo due commercianti con i negozi l’uno di fronte all’altro”. Siamo sicuri? No, e abbiamo conferma di come con Simenon si abbia un giallo magistrale che supera i confini del genere. C’è il serial killer che scrive ai giornali, sì, ma soprattutto c’è un sarto che via via ha il cappellaio come propria ossessione, e un cappellaio che a sua volta dal sarto sempre più dipende, fino a perderci la testa.


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Due vip: uno aspirante e l’altro affermato
Infine due noti artigiani. Il primo in questi giorni è a tema con Milano. Ottavio Missoni cominciò in un capannone in affitto con la moglie, lavorava i tessuti che diventavano maglie, escogitava tecniche singolari e strapazzava l’uso solito dei colori. Voleva andare contro le regole, e un giorno è diventato moda. Da lì la fama e l’impero. E una Vita sul filo di lana, che dovette alla testa messa in moto, e alle mani che quella testa la misero in pratica.
Secondo vip, il figlio di un falegname. Un uomo semplice, che semplice voleva restare. E invece no, Dio s’è messo in testa che era il Suo, di figlio, e non del falegname. Ma con le tentazioni, e la voglia di amare una donna e d’essere un semplice artigiano come il padre che si fa? Niente. Ci si ripensa una volta in croce, e s’immagina come sarebbe stato, concedendosi un’ultima tentazione. Che è poi L’Ultima tentazione di Cristo, per cui Kazantzakis è stato tanto attaccato.


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