Cominciamo col dire che questo weekend si beve. Non è
una dichiarazione d’intenti ma una realtà di fatto. Sabato e domenica
si terrà infatti Cantine Aperte , un evento che si celebra da vent’anni
circa, e che fa sì che si possa scorrazzare di cantina in cantina
assaggiando vini, in alcuni casi prodotti tipici e apprendendo tecniche e metodi della vinificazione.
Per certi miei amici è un evento epocale, l’aspettano come si aspetta da bambini il Natale, si preparano tutto l’anno, più o meno così. Poi l’ultimo weekend di maggio via pei i Colli Euganei a ricordarsi quant’è buono il vino buono.
Io quest’anno li abbandono: domani hanno fissato la partenza alle 10 di
mattina… Mi vedrei già addormentata in un prato alle 3 di pomeriggio.
Tutto questo per dire che oggi il menù offre libri che c’azzeccano col vino.
Viaggi fatti apposta
Mario Soldati
ha intrapreso una specie di Cantine Aperte in solitario per ben 3
volte, tra il 1968 e il 1975. Tre viaggi in cui l’obiettivo era scovare i
vini veri e buoni d’Italia. Il contesto storico era ben diverso dal
nostro. La tendenza generale era quella di allontanamento dalla terra
contadina. Soldati non ne voleva sapere di rinunciarci, e Vino al vino è l’occasione per tornare con lui al lavoro della terra e a storie popolari.
Anche Miles e Jack viaggiano sulla via del vino, ma con intenti e modi,
diciamo, diversi. Saranno quasi sempre ubriachi. Il secondo sta per
sposarsi, il primo, uno scrittore fallito, lo trascina in un addio al celibato di una settimana tra i vigneti di una vallata californiana. Semiautobiografico, Sideways è un romanzo movimentato, alcolico e malinconico su due giovani uomini bloccati, indecisi, molto persi.
Un eno-viaggio se lo fece anche Ezio Rivella. Come racconta in Io e Brunello,
andò a Montalcino, disse ai contadini “Le vostre botti sono vecchie,
antiche. Bruciatele tutte se non volete che nel vostro Brunello ci sia
robaccia”, capì le potenzialità del Brunello, e con parecchi dollari in
tasca provenienti da una famiglia italoamericana mise su un’azienda che divenne un impero.
Il Castello Banfi fu inaugurato hollywoodianamente nel 1984, il
Brunello di Montalcino arrivò in tutto il mondo, e quella parte di
Toscana non fu più la stessa.
Slacciare le cinture
Massimo Donà al vino ha riconosciuto dignità filosofica.
Semplicemente perché gliela riconobbero i filosofi stessi. Il vino
aiuta ad allentare le strettoie di una ragione rigida, e a sentirsi ad
agio con le sfaccettature e le contraddizioni della realtà. Io la userei
come scusa alla prossima sbornia. Tornando alla Filosofia del vino, dagli egizi ai greci ai giorni nostri,
nessuno ha mancato di riconoscere al nettare degli dei grandi qualità. E
il modo in cui è stato consumato è un modo di leggere la storia
dell’umanità.
Il brigante di Marco Vichi è un esempio di come il vino sciolga i lacci dell’autocontrollo. Si scatena una tempesta, e quattro uomini sono costretti in un luogo ristretto,
una taverna sui monti. Accanto a loro Frate Capestro, il brigante del
titolo, su cui girano certe leggende. Ma quel criminale non è l’unico ad
avere trascorsi da nascondere. Attorno al tavolo e scaldati dal vino, i quattro si lasciano andare a svelare nefandezze proprie, che non hanno niente da invidiare a quelle di un brigante.
Eccomi qua, reduce dalla Notte Bianca, con due occhiaie da paura, e con le mie recensioni.
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Lui è tornato, Timur Vermes: abbiamo un narratore d’eccezione: Hitler. Però non siamo negli anni 30 né in quelli 40, è il 2011. Come Elvis,
Hitler non è affatto morto nel 1945, solo che si è risvegliato adesso e
non ha idea di quello che è successo nei 66 anni trascorsi. Si ritrova
in una Berlino che non riconosce, va dalla gente dicendo chi è, nessuno
gli crede, e finisce addirittura per essere ingaggiato in TV. Il
problema è questo: che di nuovo capisce come prendere consenso, e di
nuovo riscuote successo.
Lui è tornato in Germania è stato un caso letterario, e pare che sia il libro che abbia più venduto all’appena finito Salone del Libro di Torino.
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L’imitatore di voci, Thomas Bernhard. Alla base un’idea che da sola basta a farti venire voglia di mollare qualsiasi cosa tu stia facendo e aprire il libro.
Abbiamo un cronista obiettivo che ci restituisce una serie di fatti, un
cronista che riesce a imitare qualsiasi voce (da qui il titolo). E come
sempre con Bernhard, caustico e ironico come pochi su uomo e società,
il reale e il grottesco non sono poi così distanti. Anzi.
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Don Milani, Mario Lancisi:
a proposito di sacerdoti con gli attributi, sacerdoti che hanno voluto
fare ciò che teoricamente il loro mestiere gli chiede di fare, se si va a
vedere la Parola di cui la loro religione si fa portavoce, e dico “a
proposito” perché pochi giorni fa ci ha lasciato proprio uno di questi sacerdoti,
che la propria vita l’ha messa al servizio dei più persi e emarginati; a
proposito di certi sacerdoti, dicevo, questo libro racconta cosa fece
Don Milani, che pensò a un nuovo modo d’istruzione e buttò tutto il suo impegno nel dare la possibilità anche a chi socialmente non ce l’aveva d’istruirsi davvero.
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Molto forte, incredibilmente vicino, Jonathan Safran Foer: c’è chi Foer lo conosce per Ogni cosa è illuminata, chi per Se niente importa. Ora si aggiunge questo suo secondo
romanzo del 2005, uno dei primi a trattare il “post 11 settembre”. Siamo
a New York, siamo dietro lo sguardo di un ragazzino, e abbiamo come lui
una chiave in mano, trovata per caso nel magazzino di nostro padre.
Cosa apre quella chiave?
Non basta, alla narrazione s’aggiungono foto della città e lettere del passato.