Anni fa sono stata invitata a cena con altri amici a casa di un’amica. Era da poco tornata reduce dal cammino di Santiago e ha voluto proiettarci le 536 foto (…) scattate. Il fatto anomalo
della serata è che quest’amica si presentò assieme ad un ragazzo
che nessuno di noi aveva mai visto prima. Nessuno di noi, compresa lei.
In pratica era successo questo: mentre stava tornando a casa, questo
ragazzo l’aveva avvicinata e le aveva chiesto: “Ciao, che fai?”, lei:
“Vado a casa che ho degli amici a cena”, lui: “Ah che bello. Posso
venire?”. Morale della favola: ci siamo ritrovati con un assoluto estraneo,
che non ha parlato per tutta la sera e si è limitato a fissare prima
uno poi un altro a intervalli regolari.
*(Lo sguardo era all’incirca
questo)
A un certo punto se n’è andato, e l’unica cosa che abbiamo
saputo di lui è il nome che ha detto di avere: “Mi chiamo Jean… in francese però, in italiano Luca”.
Questo post è un omaggio agli sconosciuti.
Comincio con due libri che hanno qualcosa in comune: lettere di sconosciuti. Il primo si chiama proprio così, né più né meno: Lettera di una sconosciuta. Al centro ci sono due uomini, entrambi scrittori, entrambi austriaci: sono l’autore e il protagonista. Stefan Zweig ci parla infatti di un quarantenne scrittore che riceve inaspettatamente una lettera da una donna che non conosce. Particolarità: questa donna ora è morta. E nella lettera dice di non essere in realtà una perfetta estranea.
Secondo libro epistolare, Che tu sia per me il coltello di David Grossman. Il titolo non allude a strane pratiche masochistiche, ma a questo: scrivere e parlare ad uno sconosciuto, piuttosto che a un amico, può rivelarsi più fruttuoso per quanto riguarda la capacità di scavare in sé, magari girando il coltello nelle piaghe. I due protagonisti dello scambio epistolare sono un uomo e una donna, non si conoscono affatto, si sono soltanto intravisti a una festa, quando lei ha fatto qualcosa che ha attratto irrimediabilmente l’attenzione di lui.
Infine, sconosciuti redditizi. Nel senso di estranei che ti mettono in mano dei soldi. Però nessuno fa niente per niente, soprattutto nei libri, e infatti lo sconosciuto in questione chiede qualcosa: che in cambio si diventi assassini. Capita a un pover’uomo vulnerabile in L’amico americano, di Patricia Highsmith, un libro che pare piacere ai registi: Wim Wenders e Liliana Cavani ne hanno entrambi ricavato un film.
A leggere il lungo racconto di Thomas Hardy, devo pensare che a me e ai miei amici in fondo è andata bene. Il titolo parla da sé: I tre sconosciuti. Sono infatti ben tre gli estranei che bussano alla porta di una casa in cui è in corso una festa. Non si presentano tutti insieme, ma uno dopo l’altro. E non entrano tutti, il terzo guarda dentro e scappa. Chiaramente lascio a Thomas Hardy il privilegio di spiegare perché.
Infine, facciamo un passo ulteriore: non fermiamoci a tre, che son pochi, immagina che siano tutti. Sconosciuti, intendo. Pensate di aprire gli occhi, un giorno, e di esser certi di non aver mai visto prima chiunque si presenti davanti a voi e dica di conoscervi. Patrizia Mucciolo, è questo il nome dell’autrice, ha preso spunto da un fatto di cronaca successo nel paese di provincia in cui vive.
Le ombre azzurre è un fantasy, ma atipico: non ci sono elfi, maghi, draghi, e non ci sono troppi effetti speciali, perché “si rischia il ridicolo. Il diavolo abita sul tuo stesso pianerottolo e tu non lo sai perché non c’è scritto Belzebù sul campanello”.