Tutto questo per introdurre la prima carrellata di recensioni post-ferie.. che tratta di
Incubi, realtà e deliri.
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LE NERE ALI DEL TEMPO, di Diane Setterfield
Will
Bellman ha dieci anni e quattro giorni quando corre con gli amici a
giocare nei campi vicino al fiume, dove i corvi scendono in picchiata in
cerca di larve. «Scommetto che riesco a colpire quell'uccello» dice
euforico, indicando il ramo più alto di una quercia lontanissima.
Un'impresa decisamente fuori dalla sua portata. In un silenzio da rito
mistico cerca la pietra più adatta, liscia e tondeggiante,
carica la sua fionda perfetta, si prepara al lancio con i muscoli tesi e
il cervello che calcola la direzione esatta. Will è un tiratore
esperto, ha vista buona e mano ferma, si esercita molto. E così la
pietra parte in volo, talmente lenta da far sperare che l'uccello nero
riesca a volare via. Ma l'uccello non si muove e la pietra completa il
suo arco. Il corvo stramazza a terra. Il mattino dopo Will si sveglia
con la febbre altissima, e per una settimana suda e urla di dolore nel
suo letto, tutte le forze di bambino tese in un'unica grande sfida:
dimenticare quello che è accaduto al fiume. Molti anni dopo, Will
Bellman è un uomo di successo, dirige il grande opificio di famiglia, ha
una bella moglie e figli amatissimi. Improvvisamente, però, una serie
di episodi sinistri comincia a distruggere tassello dopo tassello quella
vita che ha così magnificamente costruito. Lutti e disgrazie si
presentano con sempre maggior frequenza, come le apparizioni dello
sconosciuto vestito di nero che sta all'ombra del camposanto. Un uomo
che forse esiste o forse no, e che un giorno avvicina Will per proporgli
uno strano affare: perché non aprire insieme un negozio nel pieno
centro di Londra, il primo emporio del lutto, dove trovare tutto ciò che
serve per affrontare le situazioni di cordoglio, dalla bara
all'ombrello? Will accetta. Gli affari decollano, la fortuna sembra
benedirlo di nuovo, e inizia quasi a credere che il passato possa essere
finalmente dimenticato. Ma i corvi non hanno dimenticato...
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ARRIGONI E L'OMICIDIO DI VIA VITRUVIO, di Dario Crapanzano
Milano,
marzo 1953: Flavio Villareale, cinquantenne, attore, regista e
proprietario del Teatro Imperiale, un elegante edificio liberty in zona
Stazione Centrale, viene trovato senza vita nel suo appartamento di via
Vitruvio, a due passi dal teatro. A scoprire il cadavere è Umberto
Calcaterra, socio di Flavio e amministratore del teatro. L'esame del
medico legale riscontra i segni inequivocabili di
una morte per soffocamento: Flavio Villareale è stato ucciso. Trovare
l'assassino è compito degli uomini del Commissariato Porta Venezia,
guidati dal commissario capo Mario Arrigoni, convocato sul luogo del
delitto al ritorno dalla interminabile festa di matrimonio del suo vice,
Salvatore Mastrantonio, fresco sposo alla tenera età di
cinquantaquattro anni. Il viaggio di nozze priverà Arrigoni dei servigi
non proprio indispensabili del vice, a favore di quelli ben più
brillanti dell'ispettore Giovine. I primi colloqui già mettono in
evidenza la personalità della vittima, geniale artista ma pessimo
soggetto: assatanato di sesso, dedito a pratiche sadomasochistiche, non
esita a sfruttare il suo fascino e la sua posizione per sedurre ogni
bella donna che incontri sul suo cammino. Come se ciò non bastasse,
pesanti ombre arrivano anche dal passato: mussoliniano fino al
fanatismo, pare abbia denunciato oppositori veri e presunti del regime
all'Ovra, la polizia segreta fascista, non senza ricavarne un tornaconto
personale. Toccherà al commissario Arrigoni risolvere il mistero, tra
giovani e bellissime attrici, suggeritori ottuagenari e camerati non
troppo pentiti... Per concludere che, ancora una volta, con un po' di
generosità e meno egoismo, non ci sarebbero stati né morti né assassini.
Dopo lo straordinario successo dei primi quattro romanzi torna Mario
Arrigoni, il commissario dal volto umano, capace di comprendere le
ragioni di tutti, innocenti e colpevoli. E tornano i luoghi e le
atmosfere degli anni '50, con usi e costumi quotidiani di cui resta oggi
solo un vago e dolce ricordo, descritti alla perfezione da Dario
Crapanzano, una delle voci più originali e autentiche della grande
scuola lombarda del noir.
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A SANGUE FREDDO, di Truman Capote
Pubblicato nel 1966, "A sangue freddo" suscitò una serie di polemiche di
carattere letterario ed etico-sociale. L'autore venne accusato, tra
l'altro, di voyerismo cinico, per aver voluto registrare
"oggettivamente" un fatto di cronaca nera, anzi di violenza gratuita,
avvenuta nel cuore del Middle West agricolo: lo sterminio brutale di una
famiglia da parte di due psicopatici. Nel libro, la visione puntuale
delle dinamiche della vicenda, ottenuta grazie all'assidua
frequentazione dei due colpevoli, giustiziati dopo un processo durato
sei anni, è filtrata e riscattata attraverso una sapiente rielaborazione
stilistica.
Il fatto...
Due giovani, Perry Edward Smith e Richard Eugene Hickock, usciti di
carcere in libertà vigilata, fidandosi di una vaga informazione relativa
all'esistenza di una cassaforte in casa di un agricoltore, si dirigono
ad Holcomb, la città del Kansas
dove questi vive con sua moglie e due figli. Nella notte, penetrati
nella casa, dopo aver cercato invano il denaro, Smith ed Hickock
uccidono l'intera famiglia per nulla. Inizia così la loro fuga mentre la
polizia brancola nel buio, non trovando alcun movente al delitto. Ma
un'informazione proveniente dal carcere mette la polizia stessa sulle
tracce dei due che, catturati per il furto di un'automobile, dopo un
lungo interrogatorio, confessano le loro colpe.
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