mercoledì 5 dicembre 2012

Vita vissuta e Recensioni...


Ve lo confido subito: parlerò di qualcosa di cui non sono proprio profana. Ne parlerò perché negli ultimi giorni mi sono capitati sotto agli occhi due esempi di questo qualcosa, che è poi un’arte. Il primo esempio si chiama Krzysztof Iwin: Facebook  porta il vantaggio d’incappare in personaggi che altrimenti, probabilmente e purtroppo, non avresti mai conosciuto. Iwin è uno di questi. I suoi dipinti mi hanno fatto fermare per qualche mezzora a osservare. Poi c’è il secondo esempio: Leonid Afremov. Pure in questo caso il mezzo della conoscenza è stato Facebook: un mio amico rifletteva su come, per lui, i suoi quadri fossero del tutto privi di sostanza, si limitassero semplicemente a una tecnica ripetuta, e non comunicassero nulla.
Mi sono detta allora: perché non dedicare il primo post di dicembre ai pittori e a quel buon pezzo della mia vita speso tra il Liceo d'Arte e l' Accademia di Belle Arti?
Ed eccoci qua. 


 
Veri fuoriclasse
 Comincio con Ricordi via Roma, il che equivale a dire comincio con Amedeo Modigliani. Le sue donne dal viso affusolato le avrete viste di certo. Modigliani fu pittore e uomo tormentato, nel corpo e “nello spirito”, come si dice, da giovane e da adulto. Sprofondò senza remore nell’alcool, portando a scelte estreme anche chi gli viveva accanto. L’autrice, una storica dell’arte, ce lo racconta questo pittore tribolante, cercando di ripulirlo dalle tante leggende che gli crebbero intorno.
Usciamo dall’Italia e andiamo in Olanda, allontaniamoci dalla contemporaneità e finiamo nel ‘600. Il nome Max Kozloff nel nostro Paese dice poco, a chi non è addetto ai lavori, in realtà è uno dei più importanti critici dell’arte del mondo. Se vi dice poco anche il nome Vermeer, vi dirà di certo molto Ragazza con l’orecchino di perla. Kozloff, in La luce di Vermeer, parla del pittore chiedendosi: perché quelle figure umane che lui ha dipinto sono diventate icone? Cioè, perché hanno resistito al tempo e, a qualsiasi cultura si appartenga, smuovono una nostra parte interiore, nel momento in cui le guardiamo?


Ora spostiamoci proprio oltre Oceano, torniamo ai tempi nostri, e parliamo di Keith Haring. C’è una parola da introdurre: graffitismo, perché è soprattutto per questa pratica che è conosciuto: dalle metropolitane di New York, al Muro di Berlino, alla chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa. Giovane travagliato anche lui, si ammalò di Aids, e ci lasciò a soli 31 anni. Ma il suo stile unico fece in tempo a imprimersi solidamente. Il mese scorso, in libreria, sono arrivati i suoi Diari.



Ora fingiamo
Infine, un po’ di finzione. Letterariamente parlando. Prendiamo ¡Viva la Vida! di Pino Cacucci. È un’opera di finzione, sì, ma si presenta come testimonianza autobiografica diretta di una delle più note pittrici del secolo scorso: Frida Kahlo. Cacucci ha vissuto seriamente il Messico, e ha avuto modo di conoscere il culto che là ne hanno fatto. In questo monologo pronunciato agli estremi della vita, costruisce una Kahlo che ricorda tutto ciò che più l’ha forgiata e l’ha fatta diventare la pittrice che è stata: l’incidente a 18 anni e il conseguente rapporto violento col proprio corpo, la politica, l’amore sofferto per Diego Rivera, col quale si sposò, poi divorziò, poi si risposò.



Ultimo, un romanzo vero e proprio. Si chiama Nel museo di Reims, l’ha scritto Daniele Del Giudice. Al centro un uomo che sta perdendo ciò che la pittura chiama in causa in primis: la vista. Nel tempo rimastogli per vedere, vorrebbe fissare in mente i più grandi capolavori pittorici di tutti i tempi. È per questo che va al museo di Reims, è per questo che chiede a una donna di descrivergli i quadri. Aggiungiamo un’ossessione, che ha il nome di un dipinto: La morte di Marat di Jacques-Louis David.