domenica 1 dicembre 2013

Recensioni in Tribunale..


..Nel 1871 in Ohio un uomo chiamato Thomas McGehan fu accusato di averne ucciso un altro sparandogli. Per Clement Laird Vallandigham, avvocato difensore di McGehan, però, alla giuria si poteva dimostrare che le cose erano andate diversamente: la vittima si era sparata da sola estraendo la pistola da una tasca.
Era deciso a mostrare come fosse stato possibile, e lo mostrò. Lo mostrò, prima che alla giuria, ai suoi colleghi difensori in hotel. Peccato che lo mostrò loro così bene da spararsi davvero all’addome.
Due furono le conseguenze di una dimostrazione tanto convincente:
Thomas McGehan fu dichiarato non colpevole; Clement Laird Vallandigham morì poco dopo di peritonite. Non si riuscì a estrarre la pallottola dal suo corpo.
  Le recensioni di oggi vi portano

 di fronte alla legge.


Avvocati
Avvocati che si sono impegnati fino in fondo (ma non fino a quel fondo) per far punire delitti altrimenti impuniti stanno in Toghe verdi. In Italia si commettono reati che devastano il paesaggio e uccidono la gente continuamente, ma, aggiustando una legge qui e facendo gli interessi di aziende private di là, i responsabili se ne stanno impuniti. Acque contaminate bevute, tunnel che rendono pericolosi territori, discariche ammorbanti, e così via.
Il libro Processo al buio parla per affrontare certi temi fondamentali che l’avvocato ispira. La verità, ad esempio: in che rapporti sta con la giustizia? E i processi possono essere del tutto giusti, o conflitti d’interessi, inevitabili imparzialità e umori dei giurati li compromettono spesso? E poi quante volte ignora la deontologia della sua professione un avvocato che è avvocato solo a Hollywood? La presunzione d’innocenza, per dirne un’altra, è davvero tanto rispettata?


In Vicolo cieco ci si ritrova a non fidarsi troppo della giustizia. Poi si avrà la tentazione di appoggiare l’intenzione dell’avvocato protagonista: uccidere la moglie. Perché Clara è una di quelle donne che rompe, diciamo, l’entusiasmo. E Walter non ne potrà più, s’appassionerà alla storia di un omicidio di donna, arriverà al suo piano di uxoricidio, per un evento inaspettato non l’attuerà, però si sentirà colpevole come se l’avesse fatto. Ma un uomo non può essere colpevole per le sue intenzioni. O no?


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A giudizio
Troisi fece il giudice per tanto, vide colleghi sentirsi crociati, fare gli interessi sbagliati, alcuni puntare più alla quantità che alla qualità dei processi condotti, molti non accorgersi d’esser loro in primis “zeppi di difetti, di dolori, di noia, di ambizioni, di desideri meschini”. Raccontò tutto in Diario di un giudice e fu richiamato per aver infangato l’ordine giudiziario. Ciò che gli premeva era solo ricordare cosa richiedeva umanamente la responsabilità di giudicare gli altri e il potere di eventualmente condannarli.
Infine, sistemi giudiziari “alternativi”. Zarmandili, nato in Iran ed esule qua, decise di scrivere un romanzo quando venne a sapere che il regista suo connazionale Panahi era stato condannato a 6 anni di reclusione per aver attentato alla sicurezza del Paese. Non basta: per vent’anni non avrebbe dovuto scrivere, dirigere né produrre film. La causa scatenante della rabbia del regime era stata un suo soggetto di film, non ancora girato. Ed è proprio un regista in prigione il protagonista di Viene a trovarmi Simone Signoret.


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