mercoledì 31 ottobre 2012

Po Chü-i e il 'Lamento della favorita'

L’autunno è un po’ la stagione dei ripensamenti: complice il tempo che spesso costringe a casa, ci si lascia andare a riflessioni e si ha più tempo per leggere. Il poeta cinese Po Chü-i (772-846) non ci parla dell’autunno nella sua poesia,  Lamento della favorita, il passare del tempo e lo sfiorire la fanno lo stesso da padrone. La favorita protagonista della poesia, infatti, teme l’incombente sfiorire della bellezza e lascia correre il tempo, in attesa del mattino, appoggiata al braciere.
Una particolarità della poesia di Po Chü-i è che prima scriveva le sue poesie, poi le leggeva alla sua domestica e infine, nel caso, le ritoccava con i consigli che costei gli dava.




' Le lacrime tutte sono finite nella pezzuola di seta,
ma i sogni ancora non sono venuti.
 Nella notte profonda, dalla sala di fronte
viene un suono cadenzato di canti.

 Il mio volto di rosa, non ancora sfiorito,
troppo presto ha perduto i favori.

 Appoggiata al braciere,
siedo sino al mattino. '







Halloween & Romanzi Gotici


'Il castello di Otranto ' 
***
 
E' un romanzo di Horace Walpole del 1764, considerato il primo romanzo gotico. Ambientata nella città salentina di Otranto, nell'Italia meridionale, è l'opera che diede l'avvio al genere letterario poi diffusosi tra il tardo Settecento e l'inizio del Novecento. Walpole fu il precursore del romanzo gotico assieme a Ann Radcliffe e Bram Stoker.

 Il romanzo è presentato come un autentico manoscritto medievale in cui sembra essere narrato il resoconto di una storia vera. 
La storia è quella di Manfredo, principe d’Otantro, marito di Ippolita, padre della bellissima Matilda e del malaticcio Corrado. Proprio nel giorno delle sue nozze con la figlia del marchese di Vicenza, Isabella, Corrado viene trovato a pezzi, quasi sepolto da un enorme elmo. Manfredo, allora, trama di ripudiare la moglie e di sostituirsi al figlio nel matrimonio con Isabella, la quale, venuta a conoscenza dell’orribile piano, fugge in un convento attraverso un passaggio sotterraneo, aiutata da un misterioso contadino di cui si scopriranno le vere origini…
Gli ingredienti della gothic tale ci sono tutti: castelli gotici, sotterranei labirintici, corridoi e passaggi segreti, apparizioni di spettri, profezie, omicidi…, che si collocano in un’epoca lontana e ricca di superstizioni, quale era il periodo in cui si svolge l’azione. Sono queste premesse che fanno sì che il lettore moderno accetti tutto un repertorio di prodigi, espressione del sovrannaturale – “un’aurea di miracolo” -, che altrimenti non potrebbe suscitare tanto interesse. 





'Carmilla'
***
 
Carmilla è un racconto del 1872 di Joseph Sheridan Le Fanu,  avvocato e scrittore irlandese, ricordato soprattutto per le sue storie di fantasmi e di paranormale.
 La protagonista omonima è il vampiro femminile più conosciuto. La sua figura, ricca di fascino e sensualità, ha anticipato la figura del 'Dracula' di Bram Stoker.


« I sogni passano attraverso i muri di pietra, illuminano le stanze più buie e gettano le tenebre in quelle illuminate, e i loro personaggi entrano ed escono ovunque a loro piacimento, ridendosela di tutti i lucchetti », leggiamo quasi a metà di questo splendido racconto, una delle ghost  stories più belle che siano mai state scritte. Figlia diretta di quel Lord Ruthwen che per buona parte dell'Ottocento è stato sinonimo di vampiro - come oggi Dracula - Carmilla è l'algida e inquietante donna-vampiro partorita dalla fantasia dell'irlandese Joseph Sheridan Le Fanu.
Scritto interamente intorno alle apparenti antinomie realtà - sogno, fascino - orrore, il racconto consegna un personaggio seducente, sottilmente erotico, equivoco e allarmante già nel nome Carmilla - che è anche Mircalla e ancora Millarca - quasi un diabolico labirinto di specchi che riflette sempre la stessa immagine, ogni volta da prospettive differenti ma tali da restituirci una visione a tutto tondo, splendida e inquietante. Con un aspetto da cammeo antico, appena velato da un leggero languore, fa la sua comparsa in un castello della Stiria, lei creatura lunare, divinità femminile e liberatrice che sceglie la notte e i sogni per le sue azioni alla stessa maniera di Diana, di Ecate, di Persefone, di Iside. Attraente e sinistra, e per questo a tratti repulsiva ma ugualmente desiderabile, Carmilla sembra avvolgere le sue vittime in una magia ovattata e languida, lei seduttrice bellissima e regale ma nello stesso tempo quasi docile e fragile, così gentile ed oppressa, ella stessa, da quel segreto tormentoso che non può che accompagnarla. Ardente e passionale, Carmilla sembra emanare una grazia densa e palpabile dal suo fragile corpo e mietere torpori inquieti, dolcezze malate, malate quanto lei. 




'IL GOLEM' di Gustav Meyrink

L'antico misterioso ghetto ebraico di Praga e le leggende fiorite intorno ad esso sono rappresentate in questo romanzo, il più noto di Meyrink.



"Avevo letto sino alla fine il libro, e ancora lo tenevo tra le mani; non un libro ero venuto sfogliando, ma il mio stesso cervello. Tutto ciò che la voce mi aveva detto io lo avevo portato dentro di me, nascosto e obliato, celato sino ad oggi alla mia mente”.
(Gustav Meyrink, 'Il Golem', capitolo “I”)
.
“Il Golem”, opera prima dello scrittore praghese Gustav Meyrink, è un romanzo visivo e visionario; felice fusione di mitologia, esoterismo e letteratura fantastica, e al contempo fedele riproduzione della vita nell’antico ghetto di Praga nei primi anni del Novecento. Non alieno da richiami alla cabala e ai tarocchi, efficace nella narrazione d’uno sdoppiamento di personalità e d’una confusa e controversa percezione della realtà, intreccia sogno e immaginazione, delirio e speranza con intelligente ed apprezzabile equilibrio. 

La storia:
Ogni trentatré anni, come uno spettro, il Golem ricompare per gli stretti vicoli del quartiere ebraico, preceduto e annunciato da strani segni e da visioni. Prende l’aspetto di un uomo trasandato, dai tratti mongolici e dal viso giallastro, vestito d’abiti sbrindellati e dalla strana andatura; chi lo osserva, giura che stia sempre per cadere faccia in avanti. Quasi incarnasse il malessere e le angosce della comunità ebraica, desta confusione e scompiglio e terrorizza e sgomenta il popolo. D’un tratto, poi, scompare; quasi la sua apparizione avesse valenza catartica, quasi fosse l’ultimo grado di disordine prima del ritorno alla quiete o alla “normalità”: un’epidemia che assorbe e sublima, manifestandosi, ogni altra malattia. 

Elémire Zolla, nell’introduzione alla prima edizione Bompiani del libro, ricorda che la prima apparizione del Golem risale alle sacre scritture; verso 16 del salmo 138, dove si scrive: “I Tuoi occhi videro il mio golem e nel Tuo libro erano scritti tutti i giorni a me destinati prima che ne esistesse uno”. Golem, in questo frangente, dovrebbe avere lo stesso etimo del verbo che significa “avviluppare”: pertanto, a detta di Zolla, dovrebbe tradursi con “cosa ravvolta in se stessa, ancora informe”; una sorta di embrione, dunque.
È sempre il grande studioso a ricordare che nel tredicesimo secolo i cabalisti tedeschi parlano di due mistici, che letteralmente crearono un uomo: sulla fronte, aveva incisa la parola “emet”, verità. Quest’uomo disse ai suoi creatori: “Dio solo creò Adamo, e quando volle che Adamo morisse cancellò l’aleph, la prima lettera di emet: e allora egli rimase met, morto. Ecco che cosa dovete fare con me, e non creare un altro uomo, altrimenti il mondo soccomberà all’idolatria”. In altre parole: qualora l’uomo osi creare artificialmente la vita, allora egli pecca contro Dio. 

“Il Golem” di Meyrink è pur sempre un romanzo, non si pretende fedeltà alle tradizioni religiose o lineare continuità con le precedenti trattazioni letterarie: e allora diciamo che è libro che sintetizza e rinnova la tradizione della leggenda popolare della creatura del praghese Rabbi Löw, raccontata un secolo prima da Grimm.
Intraprendiamo adesso un sentiero di lettura della trama. Il primo capitolo, intitolato “Sonno”, racconta il dormiveglia della voce narrante del romanzo; insonne, il protagonista non è più in grado di distinguere il sogno dalla realtà. Riesce ad astrarsi da se stesso, a vedersi dormire; e nel frattempo, meditando su alcune pagine della vita del Buddha, si trova a riviverne un frammento, e ad alterarlo; le pietre che immagina sembrano ad un tratto circondarlo, per comunicargli qualcosa. Ascolta una voce che non riesce a definire con compiutezza; è in una fase di scissione della personalità. 

Non sappiamo se si risvegli; nel capitolo successivo, titolato “Giorno”, egli si ritrova in un buio cortile, nel cuore del ghetto. Poco a poco, ricorda un nome: Athanasius Pernath. (Nome parlante, a dar retta all’etimo: a-thanatos, con alfa privativo: e cioè, “non-morte”). Questo nome si trovava scritto all’interno di un cappello d’un estraneo, che il narratore aveva indossato tempo prima: non ricorda dove, né come. Così, la memoria s’accende, per strane folate, nella sua mente: immagini si sovrappongono ad altre immagini, e si ricostruiscono storie, personalità, sentimenti. Tutto sembra nuovo, e al contempo sempre esistito. 

Il narratore riceve una visita. Un signore, dal volto giallastro, entra nel suo appartamento, comportandosi con insolita naturalezza. Questi prende a sfogliare un libro. Cerca un capitolo, lo trova e lo addita. Il capitolo s’intitola “Ibbur”, e cioè “fecondazione dell’anima”. La grande “I” iniziale è deteriorata. L’uomo incarica il nostro “Athanasius” di restaurarla. Le parole sono vive di fronte ai suoi occhi. Danzano. Trascinano il narratore alla visione. La visione del narratore è una donna gigantesca, e un corteo di coribanti, e una coppia che si avvinghia e si trasforma in un Ermafrodito seduto su un trono di madreperla.
Il protagonista comprende che può scegliere tra una e un’altra realtà: acquista coscienza, ma si perde nei suoi stessi sogni. Si vota al disorientamento.
E vive la vita dei suoi concittadini, nel ghetto, divisi tra due individui che sembrano incarnare l’uno il male e l’altro il bene, mentre il Golem appare terrorizzando tutti. Ed è romanzo di miracoli e incertezza, d’amore e di desolazione, di memorie immortali e fantasie sconvolgenti; confuso, certo, e intriso di angoscia e delirio; come un sogno.  Letteratura gotica, influenzata chiaramente da Poe e Hoffman; datata, ma certamente godibile e ancora fascinosa. Romanzo divertente e intrigante. 




“La mia immagine stava sulla soglia. Il mio doppio. In un mantello bianco. Una corona sulla testa. Per un breve istante. Quindi guizzarono le fiamme attraverso il legno della porta, e una calda nuvola di denso fumo soffocante invase la stanza”. (Gustav Meyrink, “Il Golem”, capitolo “Libero”). 



La Pazza del Sacro Cuore- fumetto-

Alejandro Jodorowsky & Moebius di nuovo insieme...

Irriverente e ambiguo come il primo piano che sta sulla copertina, questa storia unisce due maestri riconosciuti del fumetto francese e mondiale in una veste probabilmente diversa da quella che ci si aspetterebbe. Lontani dalla fantascienza e dal western, i due autori offrono un racconto fatto di umorismo grottesco, azione movimentata, derive mistiche e un mix di sacro e pagano assolutamente folle eppure al tempo stesso lucido. Ma anche profondamente metaforico e allegorico, carico di significati intuibili.

                                        ***
 
Alain Mengel è l’alter ego narrativo di Alejandro Jodorowski. Alain Mengel insegna filosofia razionalista alla Sorbona, ed è turbato dalle profferte amorose di una sua studentessa. Intraprenderà un viaggio misticosessuale disorientante e illuminante al tempo stesso, che lo condurrà all’orlo della follia e dell’autodistruzione. Il maestro Jodorowski ha creato questa storia specificamente per il suo più illustre collaboratore, Moebius, attingendo a piene mani alla sua vita e regalandoci una piccola perla di disorientante autoesplorazione e di brutale onestà.



Nato in Cile nel 1929, Jodorowsky e’ una figura sicuramente degna di nota, come autore e come personaggio. Regista, scrittore, drammaturgo e sceneggiatore per teatro, cinema e fumetto, e’ stato uno dei principali allievi di Marcel Maceau; ma e’ stato anche, nel suo girovagare, clown, marionettista, campione di karate, musicista pop.
Nel campo cinematografico ha diretto le sue opere piu’ note, in particolare modo El Topo e La montagna sacra, film surreali e magici. E proprio nella ricerca del surrealismo si fonda la sua idea di “psicomagia”, una forma d’arte ispirata alle gesta di guaritori e santoni che ha come ragion d’essere la guarigione di chi la accoglie. La psicomagia agisce attraverso atti apparentemente privi di senso, internamente sovversivi, ma che mirano a un processo catartico, a provocare una reazione forte, a spezzare il quotidiano, a prendere coscienza dei propri problemia a un livello diverso. La psicomagia trae ispirazione dalla tradizione esoterica, dalla psicoanalisi, dalla magia, dalla spiritualita’, dalla filosofia, dallo sciamanesimo, dalla psicologia, etc…
Ma Jodorowsky e’ ancora piu’ di quanto si possa raccontare in poche righe, vive ai margini del palcoscenico dello spettacolo e al tempo stesso ne e’ sapientemente al centro.



La parte grafica di tutto questo forse non poteva che essere destinata a uno dei piu’ grandi maestri riconosciuti del fumetto.
Difficile non conoscere Moebius ovvero Jean Giraud. Arrivato alla celebrita’ fumettistica attraverso l’eopea western di Blueberry con il suo nome di battesimo, attraverso il nome d’arte di Moebius ha potuto dare sfogo alla sua creativita’ e voglia di osare. Nel 1974, assieme a Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas, fonda il gruppo Les Humano.