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Tito di Gormenghast, di Mervyn Peake:
 primo volume della trilogia di Gormenghast, dal nome dell’immenso castello in cui prende luogo. Tanto immenso che in pratica è una città. Questa è una trilogia che alcuni provano a incastrare nel fantasy, ma del tutto fantasy non è. Sfugge a una categorizzazione
 netta, e questo credo sia positivo. Tito è il protagonista, ma neanche 
tanto; perché in questa trilogia Peake ha cura di porci di fronte un bel
 po’ di personaggi e di riservare a tutti la stessa cura nel parlarne e 
farli agire. Bei personaggi, e bei temi pure: come quello del diritto di sentire e fare a discapito di ciò che gli altri si aspettano da te.Una curiosità: l’autore fu anche illustratore di grossi classici.
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 È questo il modo in cui finisce il libro: 
questo l’ha scritto un editor che si mantiene anonimo e che ha avuto 
modo di toccare con mano le scelte sbagliate di certa editoria. Le 
racconta, parla della propria esperienza senza filtri, vuole far capire come mai lo stato dell’editoria italiana sia praticamente da moribondo. E per questo c’è bisogno di un corpo del tutto nuovo.
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La casa tonda,di  Louise Erdrich: 
questo è un giallo, ma non solo.
 Di nuovo l’incasellamento in un unico genere non è possibile. La Erdich
 ha una tendenza da scrittrice: occuparsi degli indiani, intendendo i 
nativi americani. Lo fa anche in questo suo ultimo romanzo. E lo fa 
attraverso un bambino di 13 anni, un delitto incredibile e la testimone di quel delitto,
 la vittima, che però è diventata come muta. Oltre a una storia gialla 
assai ben costruita, ne esce il quadro di una comunità con le sue 
tradizioni e le sue credenze, e il contesto in cui si è ritrovata a 
sopravvivere.
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Il cuore nero di Paris Trout, di Pete Dexter: 
me ne sono appena accorta che è arrivato, non posso non dirvelo. Romanzo nero, e non solo per
 il titolo, non solo perché nella piccola città in cui si svolge 
convivono bianchi e neri, non solo perché la ragazzina a cui si spara 
addosso è nera, non solo perché allora viene fuori un problema tra neri e
 bianchi, non solo perché di razzismo l’uomo bianco che ha sparato non 
si sarebbe mai potuto sospettare, ma è nero anche perché ha quest’effetto su chi legge: lo porta a chiedersi, per forza, di cosa sarebbe capace con la parte più nera di sé. Siamo così non razzisti come pensiamo di essere?
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