giovedì 7 febbraio 2013

Libri in salvo..




Riuniti nel Tombouctou Manuscript Project, una parte degli antichi manoscritti della mitica città maliana di Timbuctù (patrimonio dell’UNESCO dal 1990), sembrava essere al sicuro. Protetti dalla suddetta missione di collaborazione tra Mali e Sud Africa lanciata ufficialmente nel 2003, e rafforzata dalla costruzione di una nuova biblioteca-archivio, inaugurata nel gennaio 2009, i tomi centenari che erano stati inseriti in un progetto dell’Università di Città del Capo (UCT), avrebbero dovuto servire alla formazione di giovani ricercatori e costituivano un materiale prezioso per lo studio degli aspetti legati alla scrittura e alla lettura del passato. Ma le notizie del sito dell’iniziativa si arrestano drasticamente al 15 ottobre 2012, data del seminario “Manuscript Culture in the Niger Bend”.
Una frattura non naturale che corrisponde con l’aggravarsi della situazione sul territorio. L’occupazione dei ribelli islamisti, conclusasi in questi giorni con l’arrivo delle truppe dell’esercito regolare maliano supportate da quelle francesi, ha lasciato dietro di se un triste tappeto di reperti semi bruciati.
E se alcuni libri sono stati portati in salvo prima della presa della città da parte dei ribelli nell’aprile scorso, inestimabili manoscritti antichi dell’Ahmed Baba Centre for Documentation and Research, sono stati dati alle fiamme. Un numero ancora non precisato, che oscilla tra le 60.000 e i 100.000 opere custoditi nel centro, sono state irrimediabilmente saccheggiate in quello che il sindaco di Timbuctù Halley Ousmane, rifugiato nella capitale Bamako per lunghi mesi, non ha esitato a definire come “un autentico crimine culturale”, perpetuato ai danni della memoria di un territorio a tratti oscurato dal velo della leggenda:
Si invoca spesso Timbuctù come il simbolo del luogo più perduto della terra, per indicare un’attrazione misteriosa ed esotica che non si raggiungerà mai. Nonostante ciò si tratta di una città ben reale, dotata di una storia e di un’eredità ricca e diversificata, una città dal passato affascinate insomma…
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  Li abbiamo pianti solo qualche giorno fa i preziosi manoscritti bruciati e danneggiati a Timbuctù, e oggi ritorniamo sulle loro pagine bruciacchiate con una notizia che ci conforta. Si tratta di un salvataggio rocambolesco, operato dal Professore Abdoulaye Cissé insieme al vecchio addetto alla sicurezza Abba Alhadi a partire dal 30 dicembre 2012.
Quando era ormai chiaro ai che la situazione non avrebbe avuto evoluzioni favorevoli nell’immediato, la strana coppia si è organizzata per mettere al sicuro ben 28.000 pergamene trasportate di nascosto in carri trainati da asini. Così facendo sono riusciti a preservare centinaia di manoscritti dal valore ancora più prezioso se si pensa che si tratta di quegli esemplari che, non essendo ancor stati digitalizzati, sarebbero andati perduti per sempre nei roghi vandalici operati dagli islamisti prima dell’arrivo delle truppe maliane e francesi.



Argomenti tabù

Si intitola Er ist wieder il libro (uscito lo scorso settembre) di cui tutti parlano al momento grazie alla costante crescita delle vendite; tradotto significa più o meno “E’ tornato” e il riferimento è niente meno che Adolf Hitler, ma visto in maniera parodistica. Sul Daily Mail scrivono che probabilmente il motivo di un tale successo risiede nel sentimento di colpa che lambisce le nuove generazioni tedesche rispetto agli orrori del Nazismo; ma il testo fa gola a molti e il suo autore Timur Vermes già si sfregherà le mani pensando agli introiti che verranno grazie alle molte licenze vendute per le traduzioni.
Nell’intreccio vediamo il Furer scampare alla Seconda Guerra Mondiale e risvegliarsi ai tempi della Merkel; si aggira per le strade, riconosciuto dalla gente che però lo scambia per un imitatore e suscita pure una certa tenerezza in uomo, che gli permette di riposare nel suo chiosco di giornali. Raccontato in prima persona, il romanzo vede l’ascesa di popolarità del protagonista nei media contemporanei, grazie ai suoi monologhi deliranti che vengono intesi dal pubblico come comicità allo stato puro. Il resto è tutto da leggere, chi non mastica il tedesco potrà gustarsi l’umorismo -amaro- del libro a breve, visto che verrà presto pubblicato da Bompiani; intanto in Germania infuriano le polemiche tra critici, leggo su Panorama che Er ist wieder da alcuni viene inteso come utile elemento di sensibilizzazione sui pericoli dei nostri tempi, ma altri lo leggono come un’ulteriore conferma della fissazione del paese verso questo personaggio storico da cui forse non riesce a staccarsi.

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Ci sono alcuni argomenti di cui si parla poco o niente, vuoi per pudore, vuoi per timore. Uno di questi, per esempio, è l’aborto terapeutico, soprattutto se spinto alle estreme conseguenze. Se Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato aveva affrontato il tema dell’aborto e del dolore di una madre (per inciso, è stato il primo libro della Fallaci che ho letto), ora Simona Sparaco in Nessuno sa di noi torna a parlare di questo argomento, spesso ritenuto tabù, e lo fa con un romanzo forte, intenso, che lascia il segno.
Intervistata da Vanity Fair, Simona Sparaco dice la sua sul perché di questo tema non si parla:

 Perché, come hanno detto alcune persone che hanno letto il mio romanzo prima della pubblicazione, è un tema troppo violento. Ma in realtà io credo che la violenza sia un’altra cosa. Perché Misseri va in Tv? Qual è la vera violenza? Io da scrittrice penso che la letteratura sia una partita a scacchi tra gli esseri umani e l’oblio. In questo romanzo il silenzio non è solo un silenzio esistenziale, ma anche un silenzio sociale che è pericolassimo, perché è lì che nasce il pregiudizio. E i suoi figli: il senso di colpa e la vergogna.


Nessuno sa di noi racconta la storia di Luce e Pietro che si recano dalla ginecologa per fare una delle ultime ecografie prima del parto. La gioia è tangibile e ci pensa la dottoressa a fenderla con una lama affilata dando loro una notizia tremenda: il piccolo Lorenzo è “troppo corto” e risulterà affetto da una forma grave di displasia scheletrica. E qui si innesta il tabù ovverosia l’aborto oltre i termini consentiti per legge. Che fare? Come regolarsi? Chi prenderà le decisioni?
Un passaggio del libro mi sembra particolarmente intenso:

"..Il trillo assordante del mio cellulare si mette in mezzo. Interrompe questo sguardo impaurito che ci stiamo scambiando, come due clandestini un attimo prima di oltrepassare la linea di confine. Dopo la quale non ci sarà più ritorno, ma soltanto la morte o la libertà. O forse entrambe.
Rispondo in modo automatico per far tacere la suoneria.
«Be’? Non mi hai fatto sapere com’è andata la visita ieri. Perché non mi hai chiamato?»
Mia madre.
«È Lorenzo. Purtroppo…»
«Gioia, che succede? C’è qualcosa che non va?»
«… non sta bene».
La voce di mia madre, al contrario della mia, sale di volume: «Santo cielo, che significa “non sta bene”?».
Provo a riprendere fiato, ma non riesco più ad articolare una sillaba. Passo il telefono a Pietro come se scottasse. Mi balocco con la bottiglietta d’acqua, mi manca persino la forza di bere.
«Signora, sono Pietro…»
Per la prima volta da quando lo conosco, Pietro parla con le lacrime che dagli occhi gli entrano nella bocca, mentre racconta a mia madre quello che ci è successo."