sabato 14 settembre 2013

AMARCORD...


Ne avrai uno pure tu, di momento d’infanzia che ricordi nitido in immagine. Il mio è questo: appena uscita dal parrucchiere, mio padre che s’inginocchia di fronte a me e mio fratello, ci guarda e dice: “Vediamo un po’ quanto siamo belli”. C’è da precisare qui che la parrucchiera si chiamava Claudia, ed era in realtà una barbiera, ed era dunque specializzata in tagli maschili, e che io ero appena uscita dal suo salone con un taglio alla Ridge Forrester, da quanto ricordo. Perciò mi viene il dubbio che mio padre, almeno nei miei confronti, fosse leggermente ironico.
Non so perché è rimasto impresso in me quell’istante in particolare, non ne ho idea. Però c’è. Chiaro come fosse adesso.
E oggi parliamo di libri che fissano momenti, vite, eventi.



Vite intere, o quasi

Biografia e autobiografia: due modi letterari di fissare ciò che è stato. Alla prima s’è dato Sepúlveda con Ritratto di gruppo con assenza, dove l’immortalare è doppio: da una parte è quello di una foto scattata in un tempo ormai andato e da cui prende il via la serie delle 25 storie che il cileno ci narra, dall’altra si dice la vita di chi di quelle storie fu protagonista, che Sepúlveda amò e che pensò valesse la pena immortalare.
All’autobiografia s’è consegnato Oliver Sacks con Zio Tungsteno. Dopo aver registrato narrando tantissimi casi di assurde devianze del cervello umano, lui, che è neurologo famoso ovunque anche per la sua capacità di scrittore, ha deciso di fissare la sua, di fissazione mentale: quella che da bambino lo portava a una mania per i metalli. Fino a un episodio cruciale, che lo condusse al mestiere che l’ha reso giustamente celebre.
David Foster Wallace non l’ha mai scritta un’autobiografia, una biografia gliel’hanno scritta da poco, e siccome è uno scrittore di cui in molti sentiamo la mancanza, si è voluta fissare e mantenere con noi la sua presenza anche con un libro d’interviste e discorsi appena uscito: Un antidoto contro la solitudine, che è un ottimo modo di conoscere Wallace se non lo si conosce già, e un ottimo modo di approfondirlo se lo si è già provato e non se ne ha abbastanza (ed è il mio caso).

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Un momento soltanto

Anziché un’intera vita, si può fissare un momento. DeLillo ne ha preso in mano uno delicato di memoria collettiva in Libra: l’assassinio di Kennedy. Ma per poter arrivare a fissare con la parola letteraria quell’evento, ha immaginato ciò che l’ha preceduto e che l’ha causato. Un misto di volontà e caso. Da una parte l’esistenza quotidiana del presunto assassino Oswald, dall’altra le trame di ex agenti della Cia e d’individui scuri. Fino a quel memorabile (e memorizzato da una telecamera) 22/11/1963.
In Boy A invece è un momento del passato a fissare il presente. Due bambini uccidono una bambina. Delitto atroce. Uno dei due bambini cresce e esce nel mondo reale dopo la prigionia prevista dalla pena. Ma quella macchia passata, siamo in grado, noi che gli stiamo attorno, di lasciare che se la lavi via del tutto? Partendo da una storia vera, Jonathan Trigell riesce a far vacillare qualsiasi barriera morale pensiamo di avere.