mercoledì 24 luglio 2013

Classici dimenticati: Alexandre Dumas " L' AVVELENATRICE "





La Marchesa di Brinvilliers, protagonista di una delle storie meno note del famoso Alexandre Dumas, aveva tutte le qualità che una donna del suo secolo potesse desiderare. Di fattezze minute e di bellezza reale ma non criarda, era animata da un carattere fermo, tendente a sprazzi di ilare giovialità, in un insieme di luci e di ombre che poteva gioire di leggeri elementi di charme che uniti alle possibilità offerte dalla sua condizione nobile, facevano di lei una potenziale maliarda. E senza tradire tale aspettativa, la penna di Dumas le tesse intorno un destino da Conte di Montecristo in versione abbozzata, rendendole l’onore di possedere molteplici cavalier serventi come il misterioso Sainte-Croix, probabile figlio illegittimo di un grande signore, e di affascinare molti anche all’estremo limitare della sua infausta esistenza, che ha ispirato una serie intitolata “Crimes célèbres”, formata da romanzi consacrati proprio agli efferati assassini passati agli onori della cronaca e del quale il più noto racconto narra le vicende di una certa “Maschera di ferro”.
A ventott’anni, la marchesa di Brinvilliers era nel pieno della sua bellezza: di piccola statura, ma di forme perfette; col viso tondo incantevolmente leggiadro; dai tratti tanto più armoniosi in quanto mai alterati da alcuna sofferenza interiore, come quelli di una statua che per una qualche magia abbia momentaneamente preso vita, e ciascuno poteva prendere per il riflesso della serenità di un’anima pura quella fredda e crudele impassibilità, che non era altro che una maschera per coprire il rimorso.
Tra veleni e intrighi, prigioni e amori, confessori e confessioni, incontri e catture nelle strade parigine dai nomi incantati come il Quai de l’Horloge, va in scena un classico, ma di quelli generalmente dimenticati dalla “retta via” della storia della letteratura…

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Vecchi e Nuovi... Titoli che non passano Mai di moda e Autori davvero promettenti..




 Bacacay
di Witold Gombrowicz 
Partiamo dal titolo che a nessuno dirà molto. Ed effettivamente… Bacacay è semplicemente il nome della strada di Buenos Aires in cui l’autore visse. Perché la scelse a intitolare il suo esordio letterario? “Per lo stesso motivo per cui una persona dà un nome ai suoi cani – per distinguerli tra loro”. Ma di che parla allora questa bella raccolta di racconti? A questo punto c’è da dire chi sia Gombrowicz, per chi non lo sapesse: era uno scrittore polacco, uno scrittore geniale, dinamico, divertente, con una certa tendenza a captare, prima in sé e poi sulla pagina, i nostri meccanismi psicologici e i modi a volte tragicomici con cui interagiamo tra noi. E, non posso tacere quest’altra caratteristica avendo per lei un certo debole, era assolutamente bravo nella satira e nel mostrare quel qualcosa di paradossale o assurdo che la vita reale non fa mai mancare.


 Carta carbone
di Julio Cortázar 
Uno dei miei scrittori preferiti di sempre. Se non lo conoscete dovete assolutamente farlo, soprattutto se vi piace (torniamo a nominarlo) l’assurdo “realistico” che era ad esempio di un altro maestro come Buzzati. 
E' arrivato poco fa questo Carta carbone, una raccolta di lettere “ad amici scrittori”, e visto il fascino che un uomo come Cortázar aveva stampato addosso, ci daranno materiale tanto valido quanto un ottimo pezzo di fiction. Ce ne sono un centinaio, di lettere, si spazia tra tutti i toni possibili, e si delinea mano a mano la sua vita e quella di ciò che lo circonda.


Classicone:
 La luna e i falò,
di  Cesare Pavese
 È stato l’ultimo romanzo di Pavese, è vero, ma il primo che io dell’autore ho conosciuto. Ed è vero anche che ci sono eventi terribili, in questo libro, ma in fondo tocca fare i conti pure con quelli. Abbiamo Anguilla, un figlio di nessuno che c’accompagna tra le terre del Piemonte e la sua gente, e viaggia, si sposta, si trasferisce, gira, ma niente, dopo un po’ sente il bisogno di tornare: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Ma anche e soprattutto “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via.”



Sogno criminale,
 di James Hadley Chase 
Riconosciuto come uno dei più grandi scrittori di thriller di sempre, Chase costruì architetture di libri che ti intrappolano e ti trascinano ad andare avanti, fino alla fine, fino allo stravolgimento assolutamente incredibile che solitamente brandisce in chiusura del libro, quasi fosse un’arma per ri-stordire il lettore già stordito dall’ipnosi in cui è caduto per tutta la durata del romanzo. Questo è Chase, è Sogno criminale non fa eccezione.


Chiamate telefoniche,
 di Roberto Bolaño 
Altro fuoriclasse. Che c’è in questo libro? Ci sono un po’ tutti gli argomenti che Bolaño toccherà poi nei romanzi corpulenti come 2666: il caso, le relazioni umane, gli scrittori falliti o piuttosto eccentrici, la violenza, giusto per dirne solo alcuni. Chiamate telefoniche è perciò un ottimo modo per approcciarsi all’autore cileno, che l’approccio lo merita tutto.

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