
 
La Marchesa di Brinvilliers, protagonista di una delle storie meno note del famoso Alexandre Dumas,
 aveva tutte le qualità che una donna del suo secolo potesse desiderare.
 Di fattezze minute e di bellezza reale ma non criarda, era animata da 
un carattere fermo, tendente a sprazzi di ilare giovialità, in un 
insieme di luci e di ombre che poteva gioire di leggeri elementi di 
charme che uniti alle possibilità offerte dalla sua condizione nobile, 
facevano di lei una potenziale maliarda. E senza tradire tale 
aspettativa, la penna di Dumas le tesse intorno un destino da Conte di 
Montecristo in versione abbozzata, rendendole l’onore di possedere 
molteplici cavalier serventi come il misterioso Sainte-Croix, probabile 
figlio illegittimo di un grande signore, e di affascinare molti anche 
all’estremo limitare della sua infausta esistenza, che ha ispirato una serie intitolata “Crimes célèbres”,
 formata da romanzi consacrati proprio agli efferati assassini passati 
agli onori della cronaca e del quale il più noto racconto narra le 
vicende di una certa “Maschera di ferro”. 
A ventott’anni, la marchesa di Brinvilliers era nel pieno
 della sua bellezza: di piccola statura, ma di forme perfette; col viso 
tondo incantevolmente leggiadro; dai tratti tanto più armoniosi in 
quanto mai alterati da alcuna sofferenza interiore, come quelli di una 
statua che per una qualche magia abbia momentaneamente preso vita, e 
ciascuno poteva prendere per il riflesso della serenità di un’anima pura
 quella fredda e crudele impassibilità, che non era altro che una 
maschera per coprire il rimorso.
Tra veleni e intrighi, prigioni e amori, confessori e confessioni, 
incontri e catture nelle strade parigine dai nomi incantati come il Quai
 de l’Horloge, va in scena un classico, ma di quelli generalmente 
dimenticati dalla “retta via” della storia della letteratura…
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 Bacacay, 
di Witold Gombrowicz 
Partiamo dal titolo che a nessuno dirà molto. Ed effettivamente… 
Bacacay è semplicemente il nome della strada di Buenos Aires in cui 
l’autore visse. Perché la scelse a intitolare il suo esordio letterario?
 “Per lo stesso motivo per cui una persona dà un nome ai suoi cani – per
 distinguerli tra loro”. Ma di che parla allora questa bella raccolta di
 racconti? A questo punto c’è da dire chi sia Gombrowicz, per chi non lo sapesse: era uno scrittore polacco, uno scrittore geniale, dinamico, divertente, con una certa tendenza a captare, prima in sé e poi sulla pagina, i nostri meccanismi psicologici e i modi a volte tragicomici con cui interagiamo
 tra noi. E, non posso tacere quest’altra caratteristica avendo per lei 
un certo debole, era assolutamente bravo nella satira e nel mostrare 
quel qualcosa di paradossale o assurdo che la vita reale non fa mai 
mancare.
 Carta carbone, 
di Julio Cortázar 
Uno dei miei scrittori preferiti di sempre. Se non lo conoscete dovete 
assolutamente farlo, soprattutto se vi piace (torniamo a nominarlo) 
l’assurdo “realistico” che era ad esempio di un altro maestro come 
Buzzati. 
E' arrivato poco fa questo Carta carbone, una raccolta di lettere “ad amici scrittori”, e visto
 il fascino che un uomo come Cortázar aveva stampato addosso, ci daranno
 materiale tanto valido quanto un ottimo pezzo di fiction. Ce 
ne sono un centinaio, di lettere, si spazia tra tutti i toni possibili, e
 si delinea mano a mano la sua vita e quella di ciò che lo circonda.
Classicone:
 La luna e i falò,
di  Cesare Pavese 
 È 
stato l’ultimo romanzo di Pavese, è vero, ma il primo che io dell’autore
 ho conosciuto. Ed è vero anche che ci sono eventi terribili, in questo libro, ma in fondo tocca fare i conti pure con quelli.
 Abbiamo Anguilla, un figlio di nessuno che c’accompagna tra le terre 
del Piemonte e la sua gente, e viaggia, si sposta, si trasferisce, gira,
 ma niente, dopo un po’ sente il bisogno di tornare: “Un paese vuol dire
 non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è 
qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Ma 
anche e soprattutto “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di 
andarsene via.”
Sogno criminale,
 di James Hadley Chase 
Riconosciuto come uno dei più grandi scrittori di thriller di sempre, 
Chase costruì architetture di libri che ti intrappolano e ti trascinano 
ad andare avanti, fino alla fine, fino allo stravolgimento assolutamente incredibile che solitamente brandisce in chiusura del libro,
 quasi fosse un’arma per ri-stordire il lettore già stordito dall’ipnosi
 in cui è caduto per tutta la durata del romanzo. Questo è Chase, è Sogno criminale non fa eccezione.
Chiamate telefoniche,
 di Roberto Bolaño 
Altro fuoriclasse. Che c’è in questo libro? Ci sono un po’ tutti gli argomenti che Bolaño toccherà poi nei romanzi corpulenti come 2666: il caso, le relazioni umane, gli scrittori falliti o piuttosto eccentrici, la violenza, giusto per dirne solo alcuni. Chiamate telefoniche è perciò un ottimo modo per approcciarsi all’autore cileno, che l’approccio lo merita tutto.
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