martedì 21 gennaio 2014

La battaglia ha inizio..


.. Mi è capitato di leggere un articolo di Valerio Magrelli, l'altro giorno: si intitolava
LA SOLITUDINE DEL LETTORE. Scomparsi i librai, estinti i critici, siamo ormai circondati da blogger e consigli “orizzontali”. Come è possibile orientarsi davanti a un’offerta di libri sempre più caotica e pervasiva?

..Prendendo ad esempio questo articolo, nel mio piccolo inizierò la mia personale battaglia anche contro le- spesso- ignobili fascette pubblicitarie! ;-)
(*di seguito, riporto l'articolo)


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LA SOLITUDINE DEL LETTORE 
di VALERIO MAGRELLI

Una ventina d’anni fa il mercato librario fu investito da una serie di eventi minacciosi. Il primo accadde a Parigi, dove l’editore Marabout pubblicò grandi classici “riassunti”, ossia dotati di segni e freccette per spiegare al lettore quali passi saltare. Il secondo, sempre in Francia, riguardava l’apertura di supermercati del libro diretti a ridurre i prezzi fino al 60 per cento. Il terzo, di portata europea, coincideva con la crisi delle piccole librerie. Il quarto, di origine italiana, vedeva infine la crescita dei bootlegs, edizioni pirata di bestsellers. Libri zapping allaReader’s Digest,libri scontati come detersivi, libri smerciati negli ipermarket, libri imitati nelle bancarelle: su questo fosco quadro si chiudeva il millennio, mentre già all’orizzonte si annunciava l’ebook. E adesso? Parafrasando un titolo di Fruttero e Lucentini, verrebbe da chiedersi: a che punto è la notte?
Proprio per valutare l’attuale situazione, il New York Times ha dedicato un articolo al tema del lettore non più solitario, ma solo. L’indagine muove da Virginia Woolf, che nel 1925 notava quanto fosse difficile leggere un romanzo. Ebbene, se ciò era vero circa un secolo fa, ora l’impresa risulta ben più ardua. Infatti, da un lato la capacità di concentrazione risulta atrofizzata dal multi-tasking (il piacere- dovere di svolgere più occupazioni insieme), dall’altro appare spesso disturbata dalle attrattive di iPad, iPhone o computer. Ecco allora la principale forma di smarrimento che ha colpito il lettore: la perdita di quella dimensione spirituale che Simone Weil chiamava “attenzione”, e un filosofo quale Malebranche definiva “preghiera naturale dell’anima”.
Subito dopo una simile menomazione, chiunque voglia oggi affrontare un libro degno di questo nome (e non i prodotti di consumo battezzati daAndrea Cortellessa “monnezzoni scala-classifica”), si imbatterà in un’altra difficoltà, dovuta alla scomparsa della critica letteraria giornalistica. In tutto l’Occidente, da metà Ottocento, la stampa contemplava la presenza di una figura semi-sacrale, un professionista delle lettere chiamato a orientare il pubblico in base alle proprie riconosciute competenze. Inutile ricostruirne l’estinzione (basti dire che sin dal 1839 Sainte-Beuve vedeva i rischi di una “letteratura industriale”). Certo è che ormai la sua funzione è stata sostituita da quella di testimonial, tifosi, acquirenti.
E qui va riportata una definizione di Tiziano Scarpa: così come al musicologo è subentrato il dj (ossiadisc-jockey, dal termine inglese “fantino”, per indicare colui che “monta” un disco, spingendolo sulle vette della top ten), ora è la volta del bj, obook-jockey, che sprona i libri verso l’empireo dei bestseller. Ecco quindi cantanti, attori, comici o semplici lettori pubblicizzare libri. Il risultato è ovvio; la verticalità gerarchica della rubrica letteraria si è trasformata nell’orizzontalità rizomatica del blog, oppure si leggono semplicemente le recensioni dei lettori su Amazon o, addirittura, i passaggi dell’opera che gli stessi hanno sottolineato di più sui loro Kindle. Invece del consulto professionale di uno specialista (fiscalista, idraulico, ortopedico), ci si scambia pareri fra clienti, utenti, malati. Altrimenti detto, sarebbe come salire il Cervino affidandosi a un collega d’ufficio o a un chitarrista, piuttosto che a una guida alpina. In tal modo, alla fisiologica solitudine del lettore, se ne è aggiunta un’altra, patologica e deontologica: non aver più nessuno a cui chiedere consiglio.
IlNew York Timeselenca anche concause marginali, ma non prive d’ironia involontaria. È il caso degli scrittori pagati sempre meno, ai quali non rimarrebbe che mangiare lametà o scrivere il doppio… Il rischio, insomma, è che, con la scomparsa di librai e critici (quali figure di intermediazione tra autore e lettore), abbiano la meglio i fast-book, ossia quei testi che richiedono solo un contatto rapido e sbrigativo. Se ciò si avverasse, il nostro paesaggio intellettuale risulterebbe impoverito come dopo un bombardamento di defolianti. Ma il libro è un virus difficile da debellare, un organismo mutante, e c’è da sperare che ancora una volta trionfi su ogniforma di disinfestazione. Non per niente, Borges cantava: «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; / io sono orgoglioso di quelle che ho letto ».
Frasi del genere andrebbero stampate su ogni copia, come si fa con le avvertenze sulla nocività del tabacco. Ogni volume dovrebbe recare impresso l’avviso: “Giova alla salute. Non provoca il cancro”, ma soprattutto: “Favorisce la conoscenza e la passione”. Infatti, nel legame che si stabilisce traocchio e libro, mente e riga, cuore e testo, non importa l’oggetto, ma il processo, l’arco voltaico, la scintilla che scocca come tra i poli di un fenomeno elettrico.
Certo, si può ironizzare su tutto questo, e nessuno lo fece tanto bene come Walter Benjamin, che nell’articolo Libri e prostitute spiegò come sia gli uni sia le altre si possano portare a letto (ma a pagamento), abbiano persone che vivono alle loro spalle (protettori e critici), ricevano clienti in case pubbliche (bordelli o biblioteche). Tutto sommato, però, al nostro lettore futuro sarebbe meglio ricordare Rilke, che proprio in una biblioteca scrisse: «Sono qui e leggo. Nella sala ci sono molte persone, ma non si fanno sentire. Sono dentro i libri. Qualche volta si muovono fra un foglio e l’altro, come uomini che si rivoltano nel sonno, fra un sogno e l’altro. Come si sta bene in mezzo agli uomini quando leggono. Perché non sono sempre così?».



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